[..]
La ragazza passò oltre nell’ispezionare la stanza: con stupore vide un elegante scrittoio in legno massello scuro, sormontato da uno specchio, inutile orpello della vanità umana. Ciò che non sfuggì ai suoi occhi, però, fu la maestria dell’ebanista che scolpì le eleganti gambe del mobile: sinuose volute di foglie di acanto correvano dal pavimento sino a incorniciare lo specchio stesso, come a voler rievocare la classicità di un passato oramai remoto.
Di colpo il vento fece sbattere un’anta della finestra alzando, come uno spettro d’altri tempi, il drappo lungo e setoso della grande tenda ancorata appena sopra. Lei sobbalzò al rumore e alla visione di quel lenzuolo volante. [..]
[..] Non curante della pioggia battente, si sporse all’esterno. Nel volgere di un istante sentì l’acqua penetrarle nella tuta, ma lo scorrere dei rivoli lungo il suo viso ebbe la forza di distoglierla dai pensieri neri che aleggiavano nella sua mente.

Così, assuefatta al temporale, si lasciò andare tra le infinite gocce morenti, con il capo dolcemente reclinato all’indietro. La pioggia, intanto, danzava tutt’intorno, rendendo il luogo meno terribile e il cuore meno pesante. Assorta nel tambureggiare ritmato di quella musica, ascoltò il silenzio della sua nuova vita, oramai immobile di fronte a Lei. [..]
[..] Stancamente si voltò verso la finestra che intanto oscillava lenta, prigioniera nei suoi cardini. Quando il vento aumentò d’intensità, vide passare rapido sui vetri il suo viso da ragazza. In quell’attimo poté cogliere lo sguardo dell’altra Lei, stagliato contro il fievole tremolio dei bagliori che serpeggiavano lungo la strada. Rimase meravigliata, quasi incredula da quell’immagine. Prese l’anta della finestra riportandola nella giusta posizione per tornare a guardare l’altra Lei: ne fissò l’intensità degli occhi, immaginando per se stessa un altra vita in un mondo fatto di immagini trasparenti create dalla luce riflessa. [..]

[…]
– Aprite il fuoco…
Quando ancora la luce dell’aurora non aveva fatto la sua comparsa, il Generale impartì l’ordine. Le sue parole risuonarono calme, quasi sussurrate negli auricolari degli artiglieri.
Non vi fu risposta, se non un sibilo inframmezzato da un leggero fruscio radio.
Terminato di parlare, Tomoe strinse le mani sui supporti della torretta del mezzo d’assalto su cui svettava austera. Digrignò i denti, pronta a farsi travolgere dalla violenta scossa che l’arma le avrebbe inferto, entro il volgere di un attimo.
Il cingolato gonfiò i suoi muscoli di acciaio, scagliando l’ordigno con violenza verso la sua ultima destinazione.
Subito dopo il sobbalzo dello sparo, una scia leggermente curva attraversò l’aria, appena pochi metri sopra il terreno sabbioso e sconnesso che delimitava i confini sud della cittadina.
Tomoe osservò sullo schermo implementato nella sua visiera la parabola dell’ogiva, perfettamente visibile contro il cielo ancora scuro. La telecamera installata sulla granata, rimandò direttamente nelle pupille del soldato l’immagine sfocata dell’obiettivo: un grande caseggiato nel mezzo del deserto.
Per alcuni attimi la donna soldato non poté che trattenere il fiato, come se Lei stessa fosse a bordo di quel proiettile supersonico, in attesa dell’imminente esplosione.

[…]
Tra gemiti di sofferenza e tremori incontrollati, l’uomo non rispose, mostrando i denti tra le labbra intrise di sangue. Il Generale, allora, si rialzò senza sforzo alcuno, poi estrasse la sua arma, inclinando leggermente il capo. Il fendente partì repentino diritto sul collo del soldato, tagliando di netto ossa, muscoli e tendini. La testa del nemico rotolò tra la sparuta vegetazione, spargendo la rossa linfa di della morte sulla vita assetata degli arbusti circostanti. [..]
continua…